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Abiti tossici: il rapporto shock di Greenpeace

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un articolo che leggo su Rinnovabili e ben si abbina con quelli letti qualche mese fa circa le componenti tossiche presenti nell’abbigliamento, dove leggevo che:

La produzione di indumenti richiede l’uso di più di 700 sostanze chimiche. In alcuni casi si tratta di sostanze tossiche (per esempio il piombo e i suoi composti), in altri di allergizzanti (come molte tinture o il nichel), in altri cancerogene (come la formaldeide) o che interferiscono con il nostro apparato ormonale (come le acrilamine).

Naturalmente anche noi dobbiamo fare la nostra parte in questa battaglia contro i componenti chimici che assumiamo a nostra insaputa ;-) ovvero possiamo perdere 1 minuto per firmare la petizione online di Greenpeace (vedi sotto) ed imparare a scegliere ovvero leggere le etichette e comprare il prodotto e non il marchio.

(Senza contare che c’è gente che produce all’estero jeans che paga 25 € e li rivende qua a 250… loro girano sullo yacht … e voi glielo avete pagato… farsi furbi, no? ;-) )

Tutti pronti a commuoversi, tanto più sotto Natale, ed a fare un Sms soldiale, per poi continuare ad acquistare jeans prodotti sulla pelle dei lavoratori colpevolmente esposti a sostanze o trattamenti mortali, senza dimenticare poi che, in ogni caso, l’inquinamento viaggia nel mondo e non resta confinato nel luogo dove si versano sostanze nelle acque o si immettono fumi tossici…

Articoli correlati: Le cose che dovremmo sapere prima di comprare i jeans - La produzione delle scarpe sulla pelle dei lavoratori

Un libro: Made in Italy – il lato oscuro della moda

°°°

La maggior parte dei vestiti contiene sostanze pericolose per la salute umana. La denuncia arriva da Greenpeace che, in un nuovo sconcertante rapporto, “Toxic Threads – The Fashion Big Stich-Up”, sostiene l’utilizzo da parte dei produttori tessili di sostanze chimiche che, rilasciate nell’ambiente, sarebbero capaci di alterare il sistema ormonale dell’uomo e di provocare il cancro.

A risultare “contaminate” sarebbero infatti tantissime catene di moda, la maggior parte delle quali nemmeno poco famose (Benetton, Jack & Jones, Only, Vero Moda, Blažek, C & A, Diesel, Esprit, Gap, Armani, H & M, Zara, Levi, Victoria’s Secret, Mango, Marks & Spencer, Metersbonwe, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Vancl i brand analizzati).

Tra queste, la performance peggiore è stata registrata da Zara, nei cui abiti sarebbero stati rilevati alti tassi di composti nonilfenoloetossilati, ftalati tossici e un’ammina altamente cancerogena.

Presentato a Pechino nel corso di una sfilata di moda shock in pieno stile Greenpeace, il rapporto spiega come gli abiti contaminati contribuiscono all’inquinamento dei corsi d’acqua di tutto il mondo, non solo nella fase produttiva, ma anche durante tutti i lavaggi domestici.

Da qui la richiesta avanzata dall’associazione ambientalista di adottare con urgenza piani per l’eliminazione di tali sostanze dal settore; addirittura, nei confronti di Zara Greenpeace ha lanciato oggi una petizione a livello mondiale per convincere l’azienda a ripulire la filiera produttiva. «Vendendo prodotti contaminati da sostanze chimiche pericolose – ha spiegato il responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Asia orientale, Li Yifang – le marche più famose del fashion ci stanno trasformando in vittime inconsapevoli della moda che inquina».

Leggi anche questo articolo de Il Salvagente



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